Nota riferita alla copia catalogata: |
Legatura in cartoncino marrone a pois con venature beige. - Sul contropiatto ant. in alto a sinistra numero di collocazione manoscritto a matita ; nella c. di guardia ant. dedica manoscritta a inchiostro nero "A Mons. Jean Fabbroni, Directeur du Cabinet Physique de Florence. De la part de Vassalli-Eandì", in basso timbro ellittico a inchiostro nero "Storia Tecnica CNR Genova" e etichetta vuota "Istituto di storia moderna e contemporanea CNR Genova". - In basso al front. incollata un'etichetta riportante "Fabbroni". - Alle c. a4 v, b4 v, c1 r e v, c.2 r note manoscritte nel testo ; a c.m4 v timbro rett a inchiostro nero riportante il n. di collocazione Dalla dedica posta nella c. di guardia ant. pare che l'esemplare sia stato donato da Vassalli-Eandì a Giovanni Fabbroni. Il professore Antonio Maria Vassalli-Eandì (Torino 1761–1825) fu cresciuto dallo zio materno l'abate Giuseppe Eandì, professore di filosofia a Savigliano poi di geometria e di fisica nella Regia Università di Torino, del quale volle assumere il cognome ad avvenuta morte nel 1799. All'età di 18 anni, dopo un esame pubblico, fu ammesso al Real Collegio delle Provincie. Suo mentore fu Giovanni Battista Beccaria. Aveva interessi agrari sull'accrescimento degli alberi, sull'influenza della luna nella vegetazione, sulla possibilità di ricavare maggiore prodotto dalle coltivazioni; era appassionato di ricerche e trattati su elettricità e galvanismo, fino a diventare, nel 1792, professore accademico aggiunto. Scrisse numerose opere a scopo didattico, dedicate alla fisica, alla geometria, alla matematica, all'algebra. Fu nominato segretario dell'Accademia delle Scienze e, successivamente, consigliere amministrativo dell'Università di Torino. Negli ultimi anni, si dedicò alla meteorologia, fino a diventare direttore dell'Osservatorio accademico. Fu poi nominato direttore del Museo di storia naturale e infine, membro della Giunta accademica per il riordino del Museo egizio. Indagò, infatti, sulla conservazione delle mummie esaminandone le qualità igrometriche dei capelli, in particolare di una mummia tebana. Giovanni Valentino Mattia Fabbroni (Firenze, 1752 – Pisa, 1822) nacque da madre tedesca e sin da bambino si distinse per la sua capacità di imparare subito le lingue straniere. La sua famiglia era legata al mondo della musica e del teatro, dettagli che arricchirono la sua personalità tanto da attirare le ammirazioni di importanti personaggi: dal marchese E. di Ligniville, direttore della musica di camera e cappella, al granduca di Toscana, Pietro Leopoldo, al futuro presidente degli Stati Uniti, Thomas Jefferson. La sua vera vocazione fu per le scienze naturali: frequentò a Firenze l'accademia del disegno e l'arcispedale di S. Maria Nuova. Dopo un soggiorno ad Ancona intorno al 1765, si recò più volte a Venezia con l'incarico di procurare prodotti naturali e strumenti scientifici, soprattutto vetri e apparecchiature ottiche, per i propri mentori in Toscana. Di quegli anni furono le prime esperienze microscopiche sulla tremella, un saprofita dalle spiccate qualità anabiotiche, condotte in collaborazione col Bicchierai, che attrassero l'attenzione del fisico di corte, Felice Fontana che, incaricato di organizzare il nuovo Museo di fisica e di storia naturale di Firenze, lo volle con lui e così Fabbroni entrò al servizio della Corona. Le necessità di aggiornamento ed espansione dell'istituto furono alla base del viaggio che tra il 1775 e il 1780 condusse Fontana e F. a soggiornare a Parigi e a Londra e a stabilire duraturi contatti con i maggiori scienziati del continente. Visitò le contee settentrionali dell'Inghilterra risalendo il bacino minerario del Derwent e spingendosi sino a Manchester e a Liverpool. Esplorò cave di carbone e giacimenti di metalli, acciaierie e coltellerie, fabbriche di cannoni, filatoi e tintorie. Si occupò della fabbricazione dell'acciaio e della manifattura delle porcellane, della produzione dell'acido solforico e delle nuove macchine tessili. Di tutto questo resta traccia in tre dei cinque quaderni di appunti conservati a Filadelfia "Fabbroni Papers", che finirono per costituire la riserva d'informazioni, spunti e suggerimenti per la sua opera di consulente tecnico-minerario dei Lorena. Ad Oxford e a Birmingham poté vedere all'opera, tra i primissimi italiani la nuova macchina a vapore a condensatore separato di Watt, che suggerì d'impiegare per il prosciugamento degli stagni maremmani e nello sfruttamento in profondità dei giacimenti minerari della Versilia. Il viaggio europeo si rivelò importante anche sul piano scientifico, tanto da pubblicare le "Réflexions", in cui asserisce che i lavori campestri andavano ridotti al minimo, proprio per non turbare gli spontanei processi di formazione dell'humus. La parte più stimolante del lavoro, ripreso e aggiornato dopo il soggiorno inglese, consiste nella importanza attribuita alla formazione dell'humus in rapporto ad una corretta pratica colturale e nell'analisi del ciclo metabolico vegetale secondo i più recenti apporti della fitofisiologia e della chimica dei gas. I temi affrontati da F. erano al centro del problema della fertilità dei suoli, che tanto occupò gli specialisti nello scorcio finale del secolo ponendo le basi per la nascita della chimica agraria e per la sua pronta ricezione in Toscana. Al rientro in patria, F. utilizzò il suo libro come programma di rinnovamento dell'agricoltura. Nel 1783 fu eletto socio dell'Accademia dei Georgofili, di cui assunse un anno dopo la segreteria per le corrispondenze fino al 1789. In questa veste si fece promotore del tentativo di rilancio dell'Accademia negli anni Ottanta, incentrato sulla difesa del liberoscambismo per tutti i settori dell'economia e sulla riforma tecnico-scientifica della pratica colturale. Si occupò così degli ingrassi vegetali e della diffusione di nuove piante, di problemi della vinificazione e delle applicazioni del calore nell'allevamento artificiale del pollame, di concimi e foraggere: tutto nell'intento di rafforzare la struttura tradizionale d'impiego dei suoli legata alla mezzadria. Dopo l'occupazione militare del 1800, F. svolse un'importante funzione di raccordo tra le esigenze della possidenza locale e le autorità francesi, adoperandosi per la conservazione degli istituti di cultura fiorentini e per la riduzione delle contribuzioni forzose alle armate gravanti, in particolare, sulla comunità della capitale. In seguito, passò al servizio dei Borbone Parma nell'ambito istituzionale del nuovo Regno d'Etruria. I rapporti con la dinastia furono buoni consentendogli di emergere come alto funzionario e notabile di rango nella vita del Regno. Nel 1802 venne nominato professore onorario alla università di Pisa. Riorganizzò la Zecca di Firenze, l'istituto di cui divenne poi direttore nel 1805, conservando la carica sino alla morte. Importante e fortunata fu anche la sua carriera in età napoleonica. In patria divenne difensore del liberismo in tutti i campi dell'economia e paladino di una riforma tecnica e scientifica dell'agricoltura. Diffuse nuove piante e affrontò i problemi relativi alla vinificazione, all'allevamento e all'uso dei concimi. |